Il cartografo è l'ultimo spettacolo di Roberto Paci Dalò per la compagnia Giardini Pensili, una delle realtà più attente alla ricerca della multimedialità e del suo rapporto con la scena. Dunque una cartografo appare già come figura analoga, come riferimento costante per chi ragioni su spazialità e dimensioni, su prospettive, su angolature sonore e visive. Tanto che anche in questo spettacolo, come negli altri della formazione, gli strumenti tecnologici messi in gioco entrano con forza nella scrittura scenica, sono elementi costitutivi della narratività e della riflessione, non stabiliscono soltanto un apporto di suggestione estetica o di compiacimento mediatico.
Una stanza buia, un violoncellista, una donna e un tavolo. Un interno da pittura olandese del Seicento. Non a caso, perché tutta la costruzione si ispira a quella cultura dello sguardo, a quella stagione di pittori, mercanti e, appunto, cartografi, dove l'osservazione diviene funzione centrale, può e deve descrivere e circoscrivere, consente di catalogare, inventariare e infine di possedere e dominare, per lo meno con l'occhio. Su quel tavolo appena inclinato appaiono infatti segni in movimento, sovrapposizioni di linee, idee di confini e di limiti, nomi e scritture indecifrabili, traiettorie e geometrie astratte, forse inattendibili cosmografie, forse anche elementi di meccanica celeste. Ai lati del tavolo Alessandro Culiani con il suo violoncello e Isabella Bordoni, autrice e interprete del testo, che traccia altre traiettorie spostando il senso del limite del confine dall'esterno all'interno, provando a misurarlo sull'esperienza umana, sulla relazione o sul sentimento, seppur a volte occultandone il senso con iperboli ermetiche. Intanto un complesso apparato acustico fa apparire in vari angoli della sala voci anonime che descrivono luoghi quotidiani. Fra queste evocazioni appare anche la voce di un moderno studioso di popoli e territori, Predrag Matvejevic', che traccia attraverso brani del suo libro Mediterraneo altre geografie, definite attraverso oggetti, parole, nomi, consuetudini e riallacciandosi all'idea di un territorio fuori dalla stretta limitazione di un confine politico, quindi negando e affermando contemporaneamente l'idea di un possibile disegno definitivo del mondo.
Sul piano inclinato si manifesta però anche la stessa presenza umana, riappare l'immagine del suonatore e del suo strumento, ripresa in diretta da una microcamera manovrata dall'attricen oppure sono dettagli del corpo della donna riprodotti grazie allo stesso apparecchio collocato su un lato del tavolo. Si evidenzia così che anche la tecnologia ha soltanto una possibilità parziale di raffigurazione del reale, e che, in fondo, come per quei pittori olandesi del Seicento, non può che descriverne il segno effimero, la sua vanità
Il Sole 24 Ore, 7 novembre 1999